Carlo Conti è il giorno che muore. L’ennesimo giorno che muore, ciclicamente sconfitto dalle metastasi che lo ricoprono sin dal mattino.

Carlo Conti che compare appena prima di cena.

Carlo Conti sorridente, abbronzato,

brillante.

Che ti guarda mentre condisci l’insalata, cuoci i wurstel o il petto di pollo.

Carlo Conti così allegro, ogni sera, come pensi che vorresti essere anche tu, mentre invece bestemmi la Madonna per aver fatto cadere l’olio a terra, dopo dodici ore di lavoro, un principio di emicrania e gli occhi semichiusi per il sonno.

 

Ma accadde una sera, mentre sbucciavo un uovo sodo, che Carlo Conti si alzò dalla sedia e uscì dalla televisione, con la sua giacca color asfalto e la camicia bianca con il collo sbottonato.

Lo vidi venire fuori dallo schermo come in certi film horror, con la fronte leggermente imperlata di sudore, e mi fissava con gli stessi occhi che hanno le bestie feroci nei documentari di Piero Angela.

“Abbiamo un nuovo campione”, diceva.

Ma io ero alle prese con la buccia dell’uovo sodo e non capivo cosa stesse succedendo.

“Il nostro nuovo campione arriva da.”

E prendeva posto al mio tavolo, da vicino il contrasto tra il colore della sua pelle e la mia era ancora più netto. Avrei dovuto provare ad abbassarlo con il telecomando.

“Giocheremo per una cifra importante. Sei pronto?”.

No, che non ero pronto. Mi allontanavo a passi lenti, l’uovo ancora tra le mani.

“La ghigliottina.”

E la maglia del mio pigiama aveva un buco sotto il braccio sinistro.

“La prima parola, tra male e mare.”

Lo guardavo ma non rispondevo.

“Ghigliottina… è sbagliato.”

E zac, un’enorme lama calò dal soffitto tagliando in due tavola, piatto e tovaglietta americana.

“Oggi o domani.”

Arretravo verso l’angolo della cucina.

“Ghigliottina… è sbagliato.”

Zac, la lama ricadde dal soffitto, stavolta tagliando in due il lampadario.

“Mare o montagna.”

“Ghigliottina… è sbagliato.”

Zac, sempre più vicina.

“Dicotiledoni o monocotiedoni.” Accelerava il gioco, circondato da una nuvola di fumo, e sputava liquido bluastro ovunque.

“Ghigliottina… è sbagliato.”

Zac.

“Ghigliottina… è sbagliato.”

Zac.

“Ghigliottina… è sbagliato.”

E ad ogni errore diventava sempre più grande.

Un enorme Carlo Conti invadeva almeno mezza stanza.

“Ghigliottina… è sbagliato.”

Zac.

L’ultimo colpo cadde nel mio angolo e mi ritrovai diviso in due perfette metà, fatta eccezione per l’uovo ormai freddo nella mano sinistra.

L’occhio destro guardava la parte sinistra afflosciarsi sul pavimento come un sacco di patate.

L’occhio sinistro guardava la parte destra afflosciarsi sul pavimento come un sacco di patate.

Intanto, Carlo Conti si era trasformato in un aspirapolvere gigante e stava iniziando a risucchiarmi dentro di sé. Ed io stavolta sorridevo perché non ci sarebbe stato un altro mattino ricoperto di metastasi.

 

Poi il timer del forno suonò, i Sofficini erano cotti e Carlo Conti era rientrato nella televisione.

“La linea al tg1. A domani!”