Quando cadde il muro di Berlino avevo quattro anni e non me ne fregava niente né del muro né di Berlino.

A quel tempo io giocavo con le macchinine.

C’era la Cadillac rosa con una striscia gialla sul cofano, la Nissan bianca e rossa, la spider nera, l’ambulanza, il camion dei pompieri, quello dei gelati.

A Berlino, oggi lo so, c’era tutta questa gente che cercava di buttare giù un muro, mentre io sul tappeto allineavo le automobiline colorate e fingevo il traffico, gli incidenti, la vita delle persone nelle macchinine.

C’era allora questo mondo immaginario dove vivevano uomini e donne e bambini immaginari. C’era per esempio un me immaginario che aveva la macchina più bella, sportiva, attraente, e i miei amici immaginari con le loro macchine, e le nostre fidanzate, e tutti vivevamo in questo posto fantastico che era nella mia mente ma era anche sul pavimento di casa mia.

C’erano le strade immaginarie che si incrociavano, i palazzi, le case, i negozi, cose che nel mondo della realtà, mentre a Berlino il muro veniva buttato giù, erano le mattonelle, l’armadio, lo scatolo di una vecchia televisione.

Nel mondo immaginario tutti erano felici.

Nelle macchinine ognuno andava da qualche parte ed era contento, le strade portavano dove voleva la fantasia, ovunque c’erano bei luoghi e nessuno odiava tanto gli altri al punto di costruire un muro lungo e grigio come tra Berlino Ovest e Berlino Est.

Avevo quattro anni e pensavo che le cose del mondo immaginario fossero così anche fuori.

Poi all’improvviso sei grande e con le macchinine non puoi più giocarci se no sei scemo. No, a ventisette anni non puoi pensare al mondo immaginario e alle macchinine perché ci sono cose importanti a cui badare, andare a lavoro, i soldi, l’avvocato, l’assicurazione, il conto corrente,  il presidente del consiglio, l’economia, i mutui, il rapporto deficit/pil, gli omicidi, il tumore, i testimoni di Geova.

A un certo punto è a tutto questo che devi pensare.

Allora le macchinine finiscono in un secchio di vernice vuoto, insieme alle persone immaginarie, alle strade immaginarie, alle case immaginarie, alla felicità immaginaria. Tutto finisce in un cilindro di plastica chiuso da un coperchio rosso e tu sei nel mondo reale, tra le persone nervose e le case tristi.

E le macchine reali impazziscono sulle strade.

E nessuno lì dentro è felice come quelli del mondo sul pavimento di quando avevo quattro anni.