Era il 2238, forse il 2241 ma poco importa, quando un rarissimo esemplare di poeta iniziò ad aggirarsi per le strade di Keynestown. Abiti sgualciti, barba incolta, nessuno sapeva bene da dove fosse sbucato quello strano personaggio, che pure incuteva agli impeccabili cittadini un po’ di timore.

In realtà con i versi non era neppure questo granché. Forse, più che di un poeta vero e proprio si trattava di un sognatore, uno di quelli con la testa tra le nuvole, capaci di fermarsi anche per delle ore a fissare il cielo stellato, così come di perder tempo dietro a un pensiero fino a che questo non avesse preso forma su un pezzo di carta. Un folle, insomma.

Per fortuna, gente così era ormai quasi estinta. Qualcuno veniva recuperato con successo in appositi “Centri per la reimmissione nell’apparato produttivo” mentre i pochissimi casi disperati erano abbandonati al proprio destino e lasciati da soli nelle più remote periferie urbane. In fondo si confidava nel fatto che, nel giro di qualche altro anno ancora, quella vecchia e inutile eredità delle società del passato sarebbe sparita in maniera del tutto naturale e autonoma.

Ma intanto lui era lì ed era assurdo sentirlo parlare.

A volte fermava i passanti e iniziava a descrivere cose come le passeggiate in montagna o le chiacchiere attorno al fuoco. Oppure spaventava i bambini raccontando loro che si sarebbe potuto creare un pupazzo di neve, semplicemente utilizzando della neve anziché l’applicazione “Build Your Snowman”. Un soggetto completamente privo di senno.

Parlava di frutta di stagione ignorando che l’O. C. G. P. A. “Organizzazione Centrale Gestione Pomi e Agrumi” aveva da poco deliberato che il consumo pro capite di arance e albicocche non dovesse superare le otto unità mensili, causa possibili scostamenti dai programmi decennali di raccolta stabiliti con Decreto Legislativo n° 286/2232.

Addirittura ipotizzava periodi indefiniti di tempo libero per gli esseri umani, senza immaginare gli irreparabili danni che una tale condotta avrebbe arrecato alla produttività nazionale, come peraltro già ampiamente descritto negli studi che avevano portato alla redazione dei nuovi Contratti Collettivi di Utilizzo Incondizionato della Forza Lavoro.

Era normale che la gente lo evitasse, guardando con disgusto quell’essere immondo che preferiva le parole ai numeri, l’aggettivo “gradevole” a “fashion”, il verbo “vivere” a “pianificazione di medio-lungo termine finalizzata al raggiungimento degli obiettivi fissati in sede di Consiglio d’Amministrazione”.

La cosa più incredibile, poi, accadde quando un autorevole cittadino gli passò avanti e, tirando fuori dalla tasca le chiavi del proprio bilocale a quattro ruote, fece cadere inavvertitamente il portafogli. Il pazzo poeta lo raccolse prontamente ma, anziché riconoscere la sua enorme fortuna, senza neppure aprire il prezioso trofeo chiamò il distinto signore e glielo restituì.

La gente intorno, esterrefatta da un così vile e sacrilego rifiuto del denaro, iniziò a guardarlo con un disprezzo maggiore almeno del 20% rispetto a quello a lui normalmente riservato e qualche bambino si mise perfino a piangere.

Così, se fino a quel momento il folle era stato semplicemente evitato, il suo gesto avventato gli costò l’arresto immediato e la condanna per vilipendio della sacralità dello strumento monetario a cinque anni di iscrizione alla facoltà di economia di una delle più rinomate università dello Stato.

Il poeta fu così costretto a laurearsi e, assunto come contabile in una piccola azienda di provincia, entrò finalmente a far parte del tessuto produttivo della nazione, con tanto di conto corrente bancario regolarmente movimentato e mutuo trentennale che avrebbe finito di pagare esattamente dieci giorni prima di morire per un infarto del miocardio.